Il nuovo anno è iniziato da qualche settimana ormai e ci ritroviamo sempre con le stesse questioni ormai in sospeso da oltre un ventennio. La scuola, nonostante l’andamento in discesa della popolazione scolastica, rimane ancora il settore lavorativo con il più alto numero di personale precario. Rimane il settore produttivo dove viene richiesta una qualificazione professionale di alto livello, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, ma con stipendi da operai in apprendistato. Lo stesso contratto nazionale, la cui ipotesi è stata firmata lo scorso 14 luglio e di cui si aspetta a giorni la firma definitiva, pone l’attenzione verso le nuove figure ma più che valorizzare il personale, lo sta sempre più precarizzando nonostante le buone intenzioni e proclami. La precarizzazione non è solo del rapporto di lavoro intermittente (inizia a settembre e termina a giugno) ma anche l’incertezza di una professione che sempre più si distacca dalla sua essenza: tracciare un segno permanente nella formazione delle giovani generazioni. Massimo Recalcati ne “l’ora di lezione” così si esprime: “Il vero cuore della Scuola è fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. Perché quello che resta della Scuola, nel tempo della sua evaporazione, è la bellezza dell’ora di lezione”. Da questa prospettiva però sembra che la scuola e i suoi docenti sembrano allontanarsi, presi dalla foga esasperata della trasmissione, sacra ma non sempre santa, del sapere che si traduce spesso in riversamento di concetti e di definizioni, lontani miglia dagli studenti e dalle studentesse. La scuola per il docente e per gli studenti non è solo il luogo di lavoro per i primi e di acquisizioni di saperi per i secondi, dovrebbe essere invece un sinergico intreccio partecipativo di saperi; di esperienze ricercate, volute e condivise. La scuola con i suoi professori, maestri, personale ATA, dirigenti, figure di sistema, tutor, orientatori, consulenti ecc, dovrebbe trasformarsi in un laboratorio vivente di cultura attenta al passato, valorizzando la storia; attenta al presente, leggendo gli avvenimenti, non solo quelli di geopolitica o di politica interna, ma la storia presente di ciascun studente, di ciascun docente per trasformarla in una opportunità per migliorare il futuro di tutta la società.
In quest’ottica leggo questo nuovo anno, così anche penso che venga letto dai nostri redattori, che in “Essere Scuola” possono esprimere al meglio questo lavorio culturale, che non è solo intellettuale, ma visibile nella quotidianità della professione docente o dirigente o semplicemente come amministrativo o collaboratore scolastico.
di Giuseppe Favilla, Direttore Responsabile